Una riflessione di Anna Maria Simonelli sul problema dell’inquinamento: «Che mare bagna Napoli?»

di Anna Maria Simonelli, Comitato direttivo di Vivoanapoli

mare-bagna-napoliBeh, fino a tre mesi fa senza ombra di dubbio il nostro mare era bello da vedere da lontano, perché appena ti avvicinavi, eccole là, macchie scure, schiuma grigia e robaccia immonda lo coprivano e lo abitavano. Poi, il Coronavirus… in capo ad un mese eccolo risplendere in tutta la sua bellezza, profumo e trasparenza.

Ma, appena a 5 giorni dalla fatidica e tanto attesa dai più, la fase 2, che sappiamo prevedere l’apertura di solo poche attività imprenditoriali (manifatturiere, costruzioni, tessili, estrattive e mobilifici), ecco apparire macchie marroni e schifezze varie che hanno invaso il tratto di mare tra Castel Volturno e Mondragone.

L’Arpac@ e la Capitaneria di Porto di Pozzuoli@ si sono recate sul posto per verificarne la natura attraverso i risultati delle indagini microbiologiche e chimiche. Ma per l’individuazione degli autori e l’accertamento delle responsabilità, bisogna attendere. I dati sono al momento segretati dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere per l’apertura di un fascicolo contro ignoti per il reato di inquinamento ambientale. Altro caso recentissimo, lo scarico abusivo di liquami sulla spiaggia di Cartaromana, Ischia. La segnalazione ha visto congiunti cittadini che l’anno segnalato e Capitaneria di Porto che è intervenuta.

Mi sorge spontaneo chiedermi: si possono prevedere azioni ispettive e di controllo alle imprese affinché si accerti l’adozione di apparecchiature e strumenti adeguati allo smaltimento dei rifiuti che la propria attività produce, per verificare che siano nel rispetto della normativa vigente? Le imprese hanno l’obbligo di rilevare (periodicamente o in continuo) le emissioni dei loro impianti e di comunicare i risultati delle misure all’amministrazione. Sussiste, inoltre, l’obbligo di adottare la migliore tecnologia disponibile per il contenimento delle emissioni, ovvero (in caso di impianti soggetti ad Autorizzazione Integrata Ambientale) le migliori tecniche disponibili, che ottimizzano le prestazioni globali dell’impianto dal punto di vista ambientale.

Per vigilare sul rispetto di tali obblighi, ciascun impianto il cui esercizio comporta emissioni significative nell’atmosfera deve essere autorizzato, in genere dalla Regione o, se delegata, dalla Provincia. Ecco, non penso che ci si possa accontentare e fidare dell’organo tecnico che immagino ogni impresa ha nella sua struttura organizzativa. E se la risposta è che non ci sono risorse umane/economiche pubbliche a farlo, perché non approfittare subito, ora, in coincidenza della graduale riapertura delle imprese, quindi, ora che non sarebbero un numero eccessivo da controllare? Anche perché, accertarne ora la trasgressione alle norme relative al rispetto ambientale, le si potrebbe, come pena aggiuntiva, escludere delle sovvenzioni per i danni economici subiti per la chiusura forzata di questi mesi.

La politica dell’Unione Europea in materia di ambiente risale al Consiglio europeo tenutosi a Parigi nel 1972, in occasione del quale i capi di Stato o di governo (sulla scia della prima conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente) hanno dichiarato la necessità di una politica comunitaria in materia di ambiente che accompagni l’espansione economica chiedendone un programma d’azione.  Il trattato di Amsterdam (1999) ha stabilito l’obbligo di integrare la tutela ambientale in tutte le politiche settoriali dell’Unione al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile.

Quello di «combattere i cambiamenti climatici» è divenuto un obiettivo specifico con il Trattato di Lisbona (2009), così come il perseguimento dello sviluppo sostenibile nelle relazioni con i paesi terzi.

In ottemperanza alla  Legge 15 marzo 1997, n. 59 (legge Bassanini) che delegava il Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle Regioni ed Enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa, viene emanato il Testo Unico (Codice dell’Ambiente, norme in materia ambientale) emanato con il Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, che recepisce molte Direttive Europee (le direttive 2001/42/CE concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente, e 85/337/CEE come modificata dalle direttive 97/11/CE e 2003/35/CE concernente la valutazione di impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati,  nonché riordino e coordinamento delle procedure per la valutazione di impatto ambientale – VIA – per la valutazione ambientale strategica – VAS – e per la prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento – IPPC. La normativa italiana c’è, anche per aver dovuto recepire nel tempo quella dell’UE: Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137; il quadro normativo in materia di acque di balneazione è regolamentato dalla Direttiva della qualità delle acque di Balneazione (Dir. 2006/7/CE), recepita dal D.lgs 116/2008 (definizione dei criteri per determinare il divieto di balneazione), a sua volta seguito dal decreto attuativo D.M. 30 marzo 2010. La Direttiva in vigore privilegia una gestione integrata della qualità delle acque allo scopo di mettere in atto azioni volte a prevenire l´esposizione dei bagnanti a rischi. La Direttiva 2008/56/CE (Marine Strategy), recepita in Italia con il D.Lgs 190/10, istituisce un quadro all’interno del quale gli Stati membri adottano le misure necessarie per mantenere o conseguire un buono stato ecologico dell’ambiente marino entro il 2020. La Direttiva 2008/99/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008 sulla tutela penale dell’ambiente, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, recepita con la L. 328/28 del 6 dicembre 2008. Quindi la direttiva 2014/95/Ue, recepita con il D.Lgs. n. 254/2016, ha introdotto nuove disposizioni a carico di alcune imprese in materia di comunicazioni di carattere non finanziario che devono riguardare anche la prevenzione dell’inquinamento e l’impiego di risorse naturali. Poi la L. 22 maggio 2015, n. 68, Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente  in materia di riforma dei reati ambientali con l’obiettivo di garantire un netto salto di qualità nella protezione della salute e dei beni naturali.  Il provvedimento introduce nel codice penale un nuovo titolo dedicato ai “Delitti contro l’ambiente” (Libro II, Titolo VI-bis, artt. 452-bis-452-terdecies), all’interno del quale sono previste le nuove fattispecie di:

  • inquinamento ambientale;
  • disastro ambientale;
  • traffico ed abbandono di materiale radioattivo;
  • impedimento di controllo;
  • omessa bonifica.

Quindi la Legge regionale 26 maggio 2016n14, Norme di attuazione della disciplina europea e nazionale in materia di rifiuti e dell’economia circolare (integrata con le modifiche apportate dalla leggi regionali 8 agosto 2016, n. 2223 dicembre 2016, n. 3831 marzo 2017, n. 10,  8 agosto 2018, n. 2929 dicembre 2018, n. 60 e  7 agosto 2019, n. 16) di cui al Tutolo 1, art. 1, così recita:

TITOLO I

Principi e Finalità

Art. 1

(Principi fondativi)

  1. La Regione Campania riconosce che una corretta gestione dei rifiuti concorre in modo rilevante a tutelare l’ambiente ed a garantire le giuste relazioni dei cittadini e delle generazioni future con le risorse naturali del territorio campano.
  2. La Regione Campania assume come riferimento delle proprie azioni in materia di rifiuti la gerarchia delle priorità stabilite dalle direttive dell’Unione Europea e dalla legislazione statale in campo ambientale:
    1. prevenzione, quale insieme degli interventi volti a ridurre all’origine la produzione di rifiuti;
    2. preparazione per il riutilizzo, volta a favorire il reimpiego di prodotti o componenti da non considerarsi rifiuti;
    3. recupero, con finalità diverse dal riciclo, compresa la produzione di energia;
    4. smaltimento, quale sistema residuale e minimale per i rifiuti non trattabili di cui alle lettere b) e c).

Ora vediamo gli organi istituzionali che si dovrebbero occupare dell’ambito in oggetto: l’Assessorato all’Ambiente@ di Napoli: ho curiosato sul sito e si sta occupando ad  invitare “le Associazioni cittadine ad organizzare eventi sul territorio che coinvolgano e sensibilizzino la cittadinanza su tematiche ambientali, cura del proprio territorio e della salute dell’individuo e di riappropriazione degli spazi urbani, quali: passeggiate e tour a piedi; pedalate e sport all’aperto; eventi dedicati ai rifiuti e alla differenziata; focus sul contrasto all’inquinamento dell’aria; pulizia di spiagge, mare, aiuole e strade; mobilità sostenibile”.

Al suo interno, dell’Assessorato, intendo, il Servizio Tutela del Mare@, sempre curiosando sul sito,  ha lo scopo di dotare l’Amministrazione Comunale di uno strumento operativo diretto sull’intera costa cittadina, sia a mare che a terra, escluso gli ambiti portuali,  con il quale “programma e attua un complesso di attività tecniche ed operative finalizzate alla tutela ecologico – ambientale dello stato delle acque marine (da Pietrarsa a La Pietra) ai fini della balneazione. Inoltre, con regolarità provvede alla pulizia degli arenili cittadini non in concessione a privati, soggetti a particolare accumulo di rifiuti. Nella stagione estiva effettua, inoltre, attività di pulizia degli specchi d’acqua attraverso l’uso di battelli spazzamare”. Ogni mese il Servizio Tutela Mare redige il report delle attività di monitoraggio della costa napoletana, dalle spiagge alle acque, dalle quantità di rifiuti recuperate alle condizioni climatiche, ma l’ultimo  report sul sito risale a novembre 2018. All’interno di esso: Le attività di monitoraggio e controllo della cost1°C.a in Dicembre sono state effettuate esclusivamente da terra, in quanto il 9 Novembre 2017, essendo scadute le annotazioni di sicurezza e le certificazioni RINA dell’unita nautica Fort’Ovo, si sono dovute sospendere quelle da mare per l’indisponibilità della suddetta unità nautica. Il battello spazzamare rimane ancora fermo in banchina per problemi di manutenzione.  Invece l’Autorità Ambientale della Regione Campania@ ha programmato la realizzazione per due interventi di potenziamento dell’infrastruttura regionale di depurazione che prevedono una spesa di circa 5 milioni di euro a valere sull’obiettivo 6.3 del POR Campania FESR 2014/2020, per trattare scarichi misti (civile/industriale).

Nel lontano 1962, a seguito di intese intercorse tra il Ministero della Sanità,  il Ministero della Difesa ed il Comando generale dell’Arma dei Carabinieri furono istituiti i NAS@ (nuclei antisofisticazioni e sanità),con il compito di «vigilare sulla disciplina igienica della produzione, commercializzazione e vendita delle sostanze alimentari e delle bevande, a tutela della salute pubblica», quindi che con l’ambiente, mare, fiumi, aria non hanno a che fare.

Eccoci all’’ARPAC@, Ente strumentale della Regione Campania, poc’anzi  menzionata, istituita dalla L.R. n. 10  del luglio 1999  con le modalità di coordinamento con le Autonomie Locali e il Servizio Sanitario Regionale che, come da Sito, “fornisce alle Autorità Giudiziarie e  agli Organi di Polizia, in materia di contrasto agli illeciti ambientali, collaborazioni occasionali, di volta in volta richieste, sia in prestazioni di supporto tecnico, ufficialmente espletate dall’ARPAC nella qualità di soggetto ausiliario e sulla base di apposita richiesta diretta dell’Autorità Giudiziaria o per il tramite degli Organi di Polizia. Tali attività vengono effettuate da operatori dell’Agenzia soprattutto delle aree territoriali e consistono principalmente in sopralluoghi, ispezioni, talvolta con prelievi o misure, relazioni con memorie, consulenze o asseverazioni (ai sensi della legge 68/2015 – Ecoreati), oltre alle attività analitiche di laboratorio svolte presso le strutture. In alcuni casi si tratta di attività di supporto a complesse e lunghe attività di indagini che risultano particolarmente onerose per l’Agenzia per le risorse strumentali, tecniche e professionali impegnate.

Poi c’è la Polizia Ambientale@, ovvero le Unità Operative “Specializzate” rappresentano, nell’attuale modello organizzativo della Polizia Locale, un’espressione di “decentramento funzionale”. Operano alle dirette dipendenze del Comando Generale, ciascuna in ragione delle proprie competenze particolari.

Poi ci sono le Associazioni ambientaliste che operano sul nostro territorio per la salvaguardia della natura o del territorio. Sul nostro territorio sono presenti le grandi e piccole (WWF, Greepace, Legambiente, Gente Green, Fiab Napoli, Cicloverdi, Green Italia Campania), esse si prefiggono come obiettivo principale quello della conservazione e del miglioramento della natura in ogni sua forma. Grazie alla presenza costante di queste associazioni e la redazione di studi accurati contenenti dati scientifici affidabili, sono stati adottati due protocolli importantissimi: il Protocollo di Montreal (firmato nel 1987) per la protezione dell’Ozono e il Protocollo di Kyoto (1997) per combattere il riscaldamento globale. Le associazioni ambientaliste sono una forza che promuove una cultura e uno stile di vita più attento e rispettoso dei delicati equilibri ambientali del nostro pianeta, quindi vanno sostenute.

Ho avuto modo di leggere la Delibera della Giunta comunale n. 409 del 2018 relativa all’AREA AMBIENTE (Servizio igiene della città, servizio controlli ambientali e attuazione del Piano d’azione per l’energia sostenibile PAES – obiettivi prefissati e da rispettare per il 2020-, ebbene non ho riscontrato nessuna politica di ecologia applicata, quindi di risposta come PREVENZIONE al problema ambientale marino creato dalle imprese industriali che operano sul nostro territorio, ma solo di bonifica e pulizia del  danno già arrecato da ignoti. Ho avuto anche modo di leggere il PNA del 2016 dell’ANAC@ (Autorità Nazionale anticorruzione), atto di indirizzo che contempera l’esigenza di uniformità nel perseguimento di effettive misure di PREVENZIONE della corruzione con l’autonomia organizzativa delle amministrazioni. Quindi ho letto il PTCP  (Piano Triennale di Prevenzione della Corruzionee dellaTrasparenza) 2019-2021 della nostra Regione: carico di aspettative nella forma, perché poi scopro che l’Acqua Bene Comune Napoli@ (acronimo ABC Napoli),  l’azienda speciale cui compete la gestione dell’acqua del comune di Napoli, nei Piani Triennali per la Prevenzione della Corruzione ( PTPC) 2017-2018 , aveva segnalato alcune difficoltà derivanti da una sostanziale mancanza di poteri reali di interlocuzione e controllo da parte del RPCT in carica (Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza) e anche con gli altri che lo anno sostituito per dimissioni dall’incarico che a catena si sono succedute. Ricordo che il RPCT è una persona fisica individuata dagli organi di governo delle amministrazioni pubbliche.

Avrò sicuramente omesso qualche normativa, ente o organo, e me ne scuso, però il quadro sembra raccontarmi che si potrebbe fare molto di più, almeno sul piano della prevenzione, ex ante, e non intervenire quando già il danno è avvenuto, ex post, o no?

I tesori di Napoli, le nostre risorse, la costa,  il mare, le spiagge, il Vesuvio,  la cultura, la fantasia, l’umanità, l’arte, i quartieri, i palazzi, i caselli, i parchi vanno preservati, curati, tutelati, sorvegliati, controllati perché diventino volano per uno sviluppo sostenibile ed equo.

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