L’impresa di vivere a Napoli: una sfida da vincere

di Marinella Pomarici

In occasione dell’ultimo dei Dialoghi di Vivoanapoli, che si è tenuto sempre al PAN il 28 marzo 2014, abbiamo ascoltato le voci di due imprenditori napoletani di successo, Stefania Brancaccio e Maurizio Marinella.

Emilia Leonetti apre l’incontro sottolineando l’esigenza di fare qualcosa di concreto per dare un segno visibile della volontà dell’associazione di rilanciare Napoli partendo dalla cultura, ma anche ricordando l’importanza di aprire uno spazio di confronto e di dialettica. Infatti, le città hanno bisogno di raccontarsi e ripensarsi, per cui le occasioni di incontro sono importanti, soprattutto in una situazione di crisi. Così come è fondamentale la disponibilità ad assumersi delle responsabilità per dare inizio al cambiamento. A tal proposito, Emilia  ricorda la frase di Paolo Borsellino che ben può essere un’indicazione del genere di rapporto che dovremmo avere con la nostra città: “non mi piace Palermo, per questo la amo”.

Perché amare non significa subire quello che non va, amare significa impegnarsi per rendere migliore il luogo in cui si vive…

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Un impegno che trova un riscontro tangibile nelle figure dei due imprenditori invitati all’incontro, i quali, nonostante le tante negatività della città, ben emerse nel corso dei precedenti Dialoghi, hanno scelto di continuare a vivere e ad investire qui. Per ricordare a tutti il valore effettivo di questo impegno, Diego Guida propone al pubblico qualche cenno biografico dei due relatori. Qualche parola in più viene spesa per introdurre Stefania Brancaccio, imprenditrice meno visibile perché attiva in un settore rivolto ai mercati industriali.

Laureata in lettere e filosofia presso l’Università Federico II di Napoli e specializzata in psicopedagogia dell’età evolutiva presso il Magistero di Torino, vice presidente della Società Coelmo SpA, società produttrice di gruppi elettrogeni industriali e marini, Stefania Brancaccio rappresenta una sintesi rara di cultura umanistica e di esperienza industriale. Contribuisce, infatti, all’amministrazione di un’impresa con tre stabilimenti in Campania, uffici di rappresentanza in Europa e Medioriente e distributori nei maggiori paesi del mondo, che vanta una produzione di oltre 2.000 unità annue, più di 100 persone occupate fra dipendenti e indotto, un fatturato di 30 milioni di euro annuo e una costante attenzione all’innovazione, dimostrata dalla recente realizzazione di prototipi per la produzione di energia di idrogeno. Ricopre numerosi incarichi di prestigio in banche ed Istituzioni: dall’ottobre 2007 è stata presidente del Gruppo “Femminile Plurale” di Confindustria Caserta. È stata, inoltre, presidente del Comitato per l’imprenditoria femminile presso la Camera di Commercio di Caserta, dove ha aperto uno sportello di consulenza per la creazione di imprese al femminile. Ha aperto – prima iniziativa in Campania – uno sportello di ascolto e mediazione familiare, rivolto ai dipendenti. Vincitrice della 22ª Edizione Premio Minerva Anna Maria Mammoliti Roma, attribuito alle donne per qualità imprenditoriali. Socio Rotary Nord Napoli. Premiata con riconoscimento anno 2011 Paul Harris Fellow, per il Progetto Open Innovation per il lavoro dei giovani.

Più breve è l’introduzione di Maurizio Marinella, vera e propria “istituzione” della città, che non ha bisogno di presentazioni perché le cravatte di Eugenio Marinella, marchio che prende il nome dal nonno, sono note in tutto il mondo ed oggi sono anche presenti in alcune delle grandi metropoli globali, come New York e Tokio, dove l’azienda ha aperto prestigiosi spazi commerciali.

Proprio la notevole propensione all’internazionalizzazione che caratterizza le due imprese offre lo spunto per la prima domanda. Giulio Maggiore chiede, infatti, ad entrambi gli imprenditori, che sono ben radicati a Napoli ma sviluppano la loro attività in contatto costante con il resto del mondo, non solo di raccontarci come vivono il loro rapporto personale con la città, ma anche di descriverci come essa viene percepita all’estero e come tale percezione è cambiata negli ultimi anni.

Brancaccio_Marinella_06Maurizio Marinella sottolinea l’intensità del suo rapporto con Napoli, ricordando come sia solito affermare di “essere nato a piazza Vittoria”, sede del negozio, dove il nonno l’ha coinvolto fin da bambino e che ha sempre costituito il centro della sua vita, al punto che il padre arrivò a rimproverarlo per essersi iscritto all’Università perché valutava il tempo degli studi sottratto all’attività imprenditoriale. La caratteristica del suo negozio – racconta Marinella – è quella di trasmettere accoglienza ed emozioni. Per questo, apre ogni mattina alle 6,30: si offrono caffè e sfogliatelle e si conversa con ii clienti mattinieri, mentre solo dalle 8,30 parte l’attività commerciale ordinaria. Purtroppo – continua Maurizio Marinella – quando sulla città si abbattono sciagure come l’invasione della spazzatura del 2008, si azzera tutto il lavoro fatto. Napoli, come brand, è molto amata all’estero: a Tokio ad esempio i suoi dipendenti giapponesi conoscono le canzoni napoletane e perfino le battute dei film di Totò. Anche negli Stati uniti c’è grande amore per la gastronomia napoletana, come per il calcio e per altre espressioni della cultura partenopea. Quando, però, i turisti arrivano a Napoli, oltre a subire i disagi classici del cittadino napoletano (strade dissestate, trasporti che funzionano male, ecc..), vengono sottoposti ad ulteriori vessazioni (prezzi maggiorati, al bar, sui taxi, ecc.). Così, quando si passa dall’ammirazione astratta del “brand” all’esperienza diretta del “prodotto” la delusione è enorme e l’immagine della città ne esce devastata.

L’amarezza di Maurizio Marinella di fronte a questi atteggiamenti è tanto maggiore in quanto si rende conto di come il suo marchio sia strettamente legato a quello della città in un rapporto di vera e propria simbiosi. A tal proposito, ci racconta di come una ricerca svolta cinque anni fa da una società di comunicazione abbia rilevato che fra i nomi celebri associati alla città di Napoli, quello di Marinella figurasse al terzo posto, dopo Maradona e Totò, ma prima di San Gennaro. Una bella scoperta, ma anche una grande responsabilità!

Brancaccio_Marinella_02Stefania Brancaccio, pur partendo da una realtà d’impresa molto diversa, afferma di condividere l’opinione di Marinella. In particolare, sottolinea come le imprese napoletane debbano compiere sforzi straordinari per affermarsi sui mercati internazionali, un po’ come ballerine impegnate a “ballare sui tacchi a spillo”. Gli stabilimenti della Coelmo, ad esempio, sono collocati ad Acerra e a Marcianise e da lì esce una produzione che per il 70% è destinata all’estero. Per riuscirci, hanno dovuto superare molti gap culturali, sociali e infrastrutturali. Uno dei primi ostacoli per le aziende è costituito dai trasporti e, in particolare, dalle ferrovie che funzionano male. Le aziende per svilupparsi devono poter esportare i loro prodotti anche all’estero ma questo da Napoli è molto difficile e costoso: per andare in Africa ad esempio, bisogna passare per Rotterdam!

Ma allora perché continuare a produrre in questi territori? Di fronte a questa domanda, Stefania Brancaccio ricorda che le imprese – se credono realmente nella propria “responsabilità sociale” – possono costruire un rapporto virtuoso con il territorio, che porta benefici alla comunità locale ma anche alle aziende stesse. La Coelmo è riuscita in questo intento, contribuendo allo sviluppo culturale e professionale dei propri dipendenti, che sono ora altamente specializzati e sanno parlare inglese, ma anche guardando oltre i cancelli dei propri stabilimenti. Sono state, infatti, proprio le imprese della Terra dei Fuochi a sollevare i primi allarmi sugli sversamenti di rifiuti tossici provenienti per lo più da aziende non campane. Inoltre, la Coelmo ha cercato di sviluppare un rapporto positivo con le scuole, incontrando gli studenti per sollecitarli ad uno studio realmente finalizzato ad acquisire le competenze e le capacità utili per entrare nel mondo del lavoro. Con questa finalità, si è anche aperta a frequenti visite agli stabilimenti da parte di diversi studenti universitari e alla testimonianza di autorevoli intellettuali. Aldo Masullo, ad esempio, è venuto in fabbrica per parlare dell’importanza dell’impegno civico e, in quell’occasione, ha proposto un’efficace metafora per rappresentare la disgregazione della società civile napoletana, paragonandola ad una crema piena di grumi, dove le indiscutibili eccellenze presenti restano monadi distinte incapaci di amalgamarsi.

Ma quali risultati hanno prodotto questi anni di impegno sociale? Sono rimaste iniziative isolate o sono riuscite a “contagiare” positivamente la realtà napoletana. A questa domanda proposta da Emilia Leonetti, Stefania Brancaccio risponde ricordando gli importanti risultati ottenuti grazie al suo sforzo di consentire una migliore conciliazione dei tempi dedicati al lavoro e alla famiglia da parte delle donne, un impegno che ha riscosso molta attenzione pubblica, al punto che il Mattino ha dedicato alla questione un’intera pagina. Di fronte alle obiezioni di molti imprenditori sui rischi connessi ad un’eccessiva tolleranza nella flessibilità degli orari del personale femminile, che avrebbe potuto condizionare negativamente la produttività, Stefania Brancaccio ha opposto l’evidenza dei fatti. Grazie alla maggiore serenità conquistata grazie alla libertà concessa, le sue dipendenti hanno, infatti, migliorato il loro contributo al processo produttivo. Si sono ridotti assenteismo e infortuni, perché le donne hanno avuto la possibilità di organizzare la propria vita in modo ottimale, evitando stress inutili e trovando finalmente una reale comprensione delle proprie esigenze. Questo approccio ha rappresentato un’importante “rivoluzione culturale” in un settore dove i bisogni del genere femminile sono spesso del tutto ignorati, come dimostra, ad esempio, persino l’abbigliamento anti-infortunistico, del tutto inadatto alle donne.

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La responsabilità sociale è molto sentita anche da Maurizio Marinella, che pone l’attenzione sulla questione dei giovani, che sono spesso intristiti perché vivono una vita senza prospettive, in cui non vedono futuro. Il paradosso è che, mentre si estende la disoccupazione giovanile, a Napoli emerge con crescente evidenza il problema della perdita degli antichi mestieri, con gli artigiani storici incapaci di trovare giovani apprendisti perché si è perso l’amore per il lavoro manuale. Si preferisce un impiego precario in un call center ad un lavoro sicuro in una bottega artigiana. Le tante produzioni pregiate della nostra tradizione (cravatte, ma anche ombrelli, guanti, ecc.) rischiano di perdersi per sempre. A Torre del Greco, per esempio, nei laboratori del cammeo ci sono solo pochi esperti lavoratori, sempre più anziani. Al momento, si evita di assumere manodopera straniera, che pure sarebbe disponibile, per salvaguardare la “napoletanità” della lavorazione, ma fino a quando? Bisognerebbe istituire una Scuola degli antichi mestieri. Aveva fatto questa proposta anche a Berlusconi quando era al governo ma non se ne è fatto nulla. L’idea trova sempre molto consenso e apprezzamento, ma non si riesce mai a concretizzare nulla.

Proprio questa considerazione spinge qualcuno del pubblico a richiedere agli imprenditori un impegno diretto in politica. Sul punto, Maurizio Marinella rimanda ogni decisione alla fine del prossimo mese di giugno, quando festeggerà il centenario della sua azienda. Dolo dopo quell’appuntamento, che al momento assorbe tutte le sue energie, valuterà possibili opportunità dirette a un coinvolgimento sul fronte della politica cittadina.

Colpisce questa voglia di partecipazione espressa da imprenditori che normalmente siamo abituati a pensare sempre concentrati nello sforzo di far quadrare i bilanci delle proprie aziende e poco attenti alle questioni del benessere collettivo. Evidentemente, proprio questo apparente pragmatismo consente loro di vedere con chiarezza come l’evoluzione del territorio sia una condizione ineludibile per lo sviluppo di imprese sane capace di competere sui mercati internazionali. La funzionalità del “sistema” è necessaria anche per garantire il successo delle iniziative individuali, che potrebbero trovare nella cultura di questa città un humus straordinariamente fertile. A tal fine, però – e sul punto si raccoglie un consenso generale – occorre coinvolgere anche le generazioni più giovani.

In questa prospettiva – come ricorda Emilia Leonetti alla conclusione dell’incontro – l’associazione Vivoanapoli si impegnerà nei prossimi mesi per portare i dialoghi del ciclo “Perché vivoanapoli” anche nelle scuole e nelle università.

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