Benvenuti all’Inferno. di Maurizio de Giovanni

Testo scritto e letto da Maurizio de Giovanni in occasione del primo incontro del ciclo “Perché vivo a Napoli. Dialoghi per chi resta” del 9 gennaio 2014, già pubblicato da IL Mattino, in data 21 Novembre 2013

VENITE IN VISITA A NAPOLI DOVE IL BRIVIDO E’ GARANTITO

Benvenuti all’Inferno. Benvenuti al castello dell’orrore del luna park Italia, il far west del Bel Paese; il luogo dove, nella vostra immaginazione, si gira con la pistola alla cintura e il cappello a larga testa, dove ci si spara addosso appena la conversazione si scalda un po’, e ci sono anche gli indiani che a stuoli arrivano dalla periferia oscura e degradatissima proprio per fare delle terribili scorribande per la città.

Prego, venite pure. Proverete il brivido dell’assalto al Rolex, l’emozione dello scippo della borsa, l’impagabile tensione della rapina a mano armata; e nel frattempo assisterete al traffico scorretto e convulso che fa parte ormai della mitologia, a qualche scontro tra bande armate e, se proprio vi va male, alle risse notturne tra le gang giovanili fuori a qualche discoteca. Vedrete qualche cosa di clamoroso da raccontare al ritorno, nelle vostre belle e ordinate città dai graziosi tetti spioventi, dai lunghi pulitissimi portici nei quali ci si incontra scambiandosi un sorridente saluto.

Potrete raccontare qualcosa di divertente, interessante e alla moda nei vostri salotti in cui c’è cosi poco da dirsi. Perché, vedete, il problema alla fine è narrativo. Proprio così: bisogna pur avere qualcosa da raccontare. In un mondo in cui tutto è fiction, anche la cronaca, la politica, i disastri naturali; in un sistema di giornali e tv in cui se una storia non ha l’impatto e il ritmo di un telefilm c’è un calo di attenzione e si passa oltre, si ha bisogno del clamoroso, dell’evidente, del terribile. E con noi, che abitiamo all’Inferno, si va sul sicuro. Ecco perché la nostra immondizia, la nostra droga, le nostre falde acquifere inquinate, il nostro territorio all’uranio, le nostre fogne che sboccano a mare valgono tanto più delle vostre. Noi, vedete, vi ripuliamo. La nostra esistenza, il nostro degrado serve a rassicurarvi, a rendervi sereni.

La discussa copertina de L’Espresso

Ad alimentare i vostri cori allo stadio, anche se non gioca la nostra squadra, così incoerentemente colorata d’azzurro; sfogatevi pure, tanto al massimo daranno un turno di squalifica alla vostra curva, magari per una partita facile facile, così potrete odiarci ancora di più, dandoci la colpa anche della pioggia. Riempite pure le vostre copertine con notizie atroci, anche vecchie, anche esagerate, anche gonfiate, anche se un po’ sbagliate, purché sembrino nuove, graffianti, violente. Fate in modo che ci sia un nuovo sussulto, un sospiro di angoscia nel leggere il titolo, nel guardare l’immagine. Che ci sia del rosso o del nero; che si possa pensare al sangue e al buio, insomma alla morte. Perché nel mondo della perenne fiction è la morte, la paura, la dannazione che fa audience. Avete bisogno di noi perché per far sopravvivere i vostri giornali e le vostre televisioni è necessario avere qualcuno da criticare, respingere, odiare; avete bisogno di ghetti, di recinti in cui rinchiudere quella quota di violenza e disperazione che statisticamente deve esserci, e che non volete vicino a voi.

Venite a trovarci in quei tour della paura e del terrore, venite a provare il brivido del rischio, allora; ma state attenti a non deviare dal percorso giusto, perché se sbagliate strada vi ritroverete, Dio non voglia, davanti a una terra meravigliosa e lucente, piena d’arte, storia e cultura quali voi, nelle vostre moderne, linde, piccole città, potete solo sognare; e per disgrazia vedrete gente normale che lavora, sorride, mangia mozzarella e allegramente beve l’acqua del rubinetto sopravvivendo fino a cent’anni, godendosi tepore e canzoni, senza alcuna intensione di andarsene da qui. State attenti che non vi capiti di vedere studenti in gamba che frequentano corsi tenuti da professori all’avanguardia e imprese che applicano tecnologie avanzatissime in settori complessi. Non sia mai. Che cosa vi resterebbe allora, da raccontare?

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