Così la cultura tenta la strada dell’imprenditoria

repubblica_napoli

 

 

di Mariano D’Antonio | Pubblicato su La Repubblica del 17 marzo 2015

“L’esempio dell’Associazione Vivoanapoli che si serve di pochi mezzi
e usufruisce della ospitalità di spazi degli imprenditori.”

A Napoli c’è chi si chiede: ma perché ci vivo qua, chi me lo fa fare? I pessimisti,
dopo aver valutato la situazione, in particolare la mancanza di lavoro, concludono
che è meglio fare la valigia e scappare altrove. Gli ottimisti, quelli che non hanno
perduto ogni speranza, decidono invece di restare e battere nuove strade. Alcuni tra
loro hanno scoperto che la cultura è a Napoli una risorsa potenziale, una grande
ricchezza che attende d’essere utilizzata. Può riempire non solo l’anima ma pure la
pancia. I sostenitori della cultura come risorsa, come strumento che può dare anche
di che guadagnare per vivere, sanno bene che qui non avranno vita facile. Hanno da
superare molti ostacoli, il primo è la sordità, l’estraneità di gran parte delle
istituzioni e dei politici che le governano. Artisti e politici a Napoli difficilmente
s’incontrano.

Gli artisti sono personaggi in cerca d’autore, i politici sono per lo più soggetti
esclusivamente in cerca di elettori. Gli uni hanno motivazioni, qualità personali,
finalità, diverse dagli altri. Le vicende dei teatri Mercadante e San Carlo hanno
dimostrato e continuano a dimostrare che uno può diventare a Napoli sindaco della
città e al tempo stesso pretendere di governare artisti, direttori, registi come se
fossero cortigiani addetti alle fortune politiche, al destino elettorale del primo
cittadino.

Se le traiettorie della politica e della cultura poco s’incrociano, con chi possono
dialogare gli artisti a Napoli? La risposta è che possono dialogare direttamente con i
cittadini incontrandoli e discutendo con loro i problemi, le difficoltà, i progetti, i
risultati spesso poco noti delle attività artistiche. Le associazioni che organizzano
questi incontri a Napoli ci sono, ne nascono e s’impegnano continuamente. Spesso
sono organismi informali. Non hanno un bilancio, non dispongono di quattrini da
spendere. Nella più grande città del Mezzogiorno non c’è la tradizione civica di
contribuire sia pure con pochi spiccioli a finanziare un evento culturale. I cittadini
anche i più colti non sono abituati né sono disposti a pagare per ascoltare una
conferenza o la presentazione di un libro.

Perciò quelli come Diego Guida, Giulio Maggiore, Emilia Leonetti che animano
un’associazione chiamata “Vivoanapoli”, organizzano incontri e discussioni con i
protagonisti della vita culturale cittadina servendosi di pochi mezzi e usufruendo
dell’ospitalità di spazi offerti da imprenditori che ne hanno un ritorno d’immagine.
Ascoltando alcuni di questi eventi, che fossero dedicati a uomini e donne di teatro
oppure alla presentazione di un centro multimediale, ho avuto la fortuna d’imparare
ciò che a un comune spettatore non sempre appare. S’impara che Napoli è una
fucina di talenti, di sperimentatori, di creatori, che attendono d’essere valorizzati.
Spesso sono autori che si definiscono «post» di tutta l’eredità di cultura e spettacolo
che viene dalla storia di Napoli. Ma quelli più promettenti e seri di quella storia
sono pure fini conoscitori. S’impara poi che le iniziative più solide presentano due
caratteri non sempre frequenti in questa città: sono frutto di cooperazione tra più
persone piuttosto che essere prodotti di geni individuali e sono perciò stesso
organizzate spesso in forma di lavoro collettivo.

La cooperazione è un’attitudine rara tra noi napoletani. Prevalgono al suo posto due
sentimenti gemelli: il valore dell’individuo e l’invidia. È diffusa l’idea che è meglio
fare tutto da sé al più collocando qualche familiare al proprio fianco e al tempo
stesso è comune sentirsi ostile a chi «ce l’ha fatta» augurandosi magari che presto o
tardi questo fortunato individuo fallisca. Un corollario dell’invidia corrosiva è la
convinzione che le persone di successo debbano sempre il risultato che hanno
raggiunto alle relazioni familiari, alla fortuna piuttosto che ai loro meriti,
all’impegno che ci hanno messo, ai sacrifici che hanno sopportato.
La scelta di realizzare un progetto d’arte, di cultura, di conoscenza scientifica,
servendosi dello strumento impresa, a sua volta fa a pugni con la tradizione e la
chiacchiera che vuole i nostri concittadini ricchi di fantasia, d’improvvisazione,
capaci di ottenere splendidi risultati inattesi, virtù ritenute tutte doti specifiche della
cosiddetta napoletanità.

E invece più che doti da valorizzare spesso sono una iattura, ostacoli a ottenere
buoni risultati. Anche nella realizzazione di un progetto culturale è infatti
necessario disegnare accuratamente le fasi di sviluppo del progetto, il ruolo che
svolgono i diversi collaboratori, le responsabilità, i compensi e le gratificazioni
individuali. È necessario cioè seguire un modello d’impresa che non significa
necessariamente uno schema bloccato, privo di elasticità, di adattamento agli
imprevisti, alle sorprese.

Ben vengano perciò i protagonisti creativi che s’impegnano a diventare
imprenditori oppure si affidano a quanti sanno organizzare in forma imprenditoriale
il lavoro collettivo.

Aggiungi ai preferiti : Permalink.

I commenti sono chiusi